Questione di distanze. Quella da rispettare tra noi, singolarmente, da un anno ormai lontani almeno un metro da abbracci e strette di mano per tenere lontano anche il virus. La distanza che separa le forniture di vaccini in arrivo dalle aziende al nostro Paese, alle nostre regioni, alle nostre città. La distanza temporale che ci separa dall'uscita dal tunnel, che resta un punto interrogativo, perché – appunto – dipende da una serie di fattori. L'importante è non fare il classico passo del gambero adesso, proprio adesso che finalmente la curva del contagio sembra chinare la testa. Si dice, si scrive, si legge di altre manifestazioni di protesta alle viste, di altri comitati "no dad" pronti a invadere le piazze pur di far riaprire le scuole per l'immediato ritorno alla didattica in presenza e allo stesso tempo si dice, si scrive, si legge della preoccupante evoluzione del virus ormai esploso in decine di varianti che vanno a colpire più facilmente i più giovani.
E allora ci chiediamo che senso ha rimettersi in piazza in questo momento? Che senso ha rischiare di fare l'ennesimo autogol, dopo quelli già fatti in estate con scriteriate aperture di luoghi al chiuso dove scatenarsi in feste e festini e dove risvegliare la pandemia? In guerra, ci sono momenti in cui suonare la carica e momenti in cui è consigliabile battere in ritirata per resistere. Ebbene, il momento storico, con gli arrivi di diversi vaccini e una politica governativa che finalmente decide di velocizzare l'immunizzazione di tutti i cittadini, impone la resistenza. Ci sarà tempo e modo per recuperare tutto, anche per quanto riguarda l'istruzione. Ma dobbiamo essere tutti d'accordo sul modo di arrivarci, a quel tempo.