Già è innaturale e insopportabile sopravvivere a un figlio. Figurarsi se quella che è la ragione di vita di ogni mamma e di ogni papà ti viene sottratta all’improvviso da mani assassine che ti estirpano l’anima. «Mi hai tolto la cosa più importante che avevo» – ha detto tra lacrime e singhiozzi Ettore Borsa quando nel corso dell’udienza si è avvicinato alla gabbia dei detenuti, guardando negli occhi Alfredo Erra che due anni fa uccise Anna, sua figlia, sparandole alla testa. “Con Anna sono morto anch’io”, ha ripetuto ai giudici della Corte d’Assise che ad un certo punto, con grande tatto, hanno smesso di fargli domande. L’uomo, non aveva né parole, né ricordi, come se il tempo si fosse fermato a quel maledetto giorno. “Anna non ci ha mai detto niente delle minacce ricevute” è riuscito a dire in un soffio. Per Ettore, la fase processuale è stata l’ennesima tappa di una via Crucis infinita. Un dolore troppo sordo per poter sentire che fuori c’è ancora vita, da vivere come Anna vorrebbe: con il cielo negli occhi e il sorriso di sempre.
Processo Erra: la disperazione del papà di Anna
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