Inutilmente proviamo a individuare quel lasso di tempo in cui è iniziata la deriva, in cui è cambiato tutto, altrettanto inutilmente inseguiamo ipotesi e ragionamenti per capire perchè sia cambiato tutto. Quando, come e perchè i ragazzi, anche quelli che chiamiamo bambini, tra i 12 e i 15 anni, hanno smesso di divertirsi in comitiva, al più di prendersi a botte ma nulla più di questo ed hanno deciso di armarsi di coltelli, tirapugni, mazze da baseball, addirittura di pistole. A Napoli, tre giovani vite spezzate nel giro di pochi giorni, così per gioco. Ormai, in giro ci sono ragazzi totalmente fuori di testa, talmente lontani dalla realtà che ammazzano i loro coetanei manco fossero mosche o zanzare. Hanno degli idoli, alcuni dei quali – musicalmente parlando – parlano di armi e sparatorie come una volta si parlava d’amore, altri esempi da seguire arrivano dalle serie televisive, con buona pace di chi continua a sostenere che non è vero. In questo quadro apocalittico, c’è un grande assente ed è lo Stato. Quantomeno, la scuola ci prova, anche se – come si apprende dalle colonne del Mattino – sono tanti i professori che hanno deciso di andare in pensione anticipatamente perchè avvertono fin troppo marcatamente il distacco generazionale che c’è con gli studenti, con i ragazzi di oggi, gli uomini di domani. Insomma, si arrendono all’evidenza. Quantomeno, il mondo dell’associazionismo ci prova, con tavole rotonde e convegni che comunque sono gocce nel mare. Era un problema, oggi è un’emergenza. Che va affrontata con serietà, con rigore, alla stregua di una pandemia. In quanto a certi genitori, mollino un po’ il cellulare, con i selfie e le storie da pubblicare per dedicare un po’ di tempo ai propri figli.
Nel napoletano, tre ragazzi uccisi in pochi giorni, una deriva senza fine
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