Salutati dallo sventolio di tantissime bandiere italiane (che il Comune di Roma ha distribuito nelle ultime ore nella Capitale), alle 11.01 i sei feretri dei paracadutisti caduti a Kabul giovedì scorso hanno fatto il loro ingresso nella basilica di San Paolo fuori le Mura, che sei anni dopo la strage di Nassirya ha di nuovo ospitate le esequie di Stato per degli italiani caduti durante missioni di pace in teatri di guerra. Portate a spalla da commilitoni, le bare hanno ricevuto gli onori militari del picchetto d’onore composto dai rappresentanti dei diversi corpi d’armata italiani. In chiesa, lungo le navate, oltre ai familiari affranti e ai quattro feriti di Kabul,centinaia di persone, rappresentanze delle Forze armate, le più alte cariche dello Stato a partire dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si è inchinato al passaggio di ognuno dei sei feretri. Sedici minuti dopo è cominciata la messa. Ad officiare il rito l’Ordinario militare per l’Italia, monsignor Vincenzo Pelvi, lo stesso che ieri li aveva accolti all’arrivo a Ciampino. Dopo la lettura del telegramma inviato dal Papa, in cui Benedetto XVI si dice “profondamente addolorato per il tragico attentato” e invoca la Vergine “affinché Iddio sostenga quanti si impegnano ogni giorno per costruire solidarietà e pace”, la cerimonia ha visto la lettura del passo del Vangelo di Matteo in cui si racconta la conversione/vocazione dello stesso apostolo-evangelista e poi l’omelia, impostata come una lettera ad ognuna delle sei vittime e durante la quale sono stati chiamati per nome… Caro Antonio (Fortunato), dunque, e poi caro Giandomenico (Pistonami), caro Massimiliano (Randino), caro Matteo (Mureddu), caro Roberto (Valente) e caro Davide (Ricchiuto). Per ognuno di loro monsignor Pelvi ha pronunciato parole di affetto, riconoscenza ed encomio ricordando altresì le motivazioni che li avevano spinti a scegliere la carriera militare e a decidere di partecipare alle missioni all’estero. Al momento dello scambio del segno di pace mentre i familiari si abbracciavano tra loro, il fuoriprogramma più commovente: il figlio del capitano Fortunato, Martin, 7 anni, si è alzato ed è andato ad accarezzare il tricolore che avvolgeva la bara del padre quindi è tornato al suo posto, tra le braccia della madre. Dopo l’eucarestia, l’onorevole Paglia, ex parà, medaglia d’oro al valor militare, ferito in Somalia, ha letto la preghiera del paracadutista, quindi sotto il soffitto a cassettoni della basilica è risuonato il silenzio. Alle 12.30, dopo la benedizione delle salme, la processione si è mossa ed ha attraversato al contrario la navata centrale tra gli applausi della folla e il grido “Folgore”. Una volta sul sagrato l’ultimo omaggio, quello delle Frecce tricolori, che in onore di questi sei ragazzi italiani hanno tinto di tricolore il cielo di Roma.
L’Italia tributa l’ultimo saluto ai caduti di Kabul
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