Arturo Di Napoli e una corona da portare a Messina, nella speranza che possa essere un dolce ricordo di Salerno e non un trofeo da esibire in bacheca. Fino a qualche giorno fa, avremmo messo la mano sul fuoco riguardo al suo attaccamento alla casacca granata e ad una tifoseria che l’ha accolto e trattato da Messia. Tanto che abbiamo più volte invitato la dirigenza a ripensarci, a ricucire lo strappo per dargli ancora una maglia ed un ruolo da protagonista. Ma le ultime fasi dell’estenuante telenovela sono state noiose quanto fastidiose. A cominciare da quel non voler parlare in presenza di Acri e poi farsi spalleggiare da Fabiani: una mancanza di rispetto, e non stiamo parlando soltanto di rispetto dei ruoli. Durante lo stucchevole tira e molla, Di Napoli – nel corso delle tante, forse troppe interviste rilasciate – avrebbe avuto modo di ringraziare la società che l’ha rigenerato e riportato in auge ed il pubblico di Salerno. Invece, ha preferito ringraziare quelli che lui definisce “amici”. Amici che, naturalmente, da domani in poi non lo chiameranno più, perché non avranno alcun interesse a farlo. Per Di Napoli non è mai stata una questione di soldi – così ha detto e ripetuto – salvo poi puntare i piedi fino a imbalsamare il mercato granata e inquinare l’ambiente. Tanto per dire: non sarà una questione di soldi, intanto l’attaccante milanese firma, all’età di 35 anni, un triennale da 230mila euro con proposta, già accettata, di 5 anni da dirigente. Un trattamento alla Totti, insomma, cui si aggiungono gli interessi economici che già aveva nella città peloritana, vedi attività immobiliari e imprese turistiche. La favola di Re Artù è una delle poche a lieto fine. E in questa favola, probabilmente, lui non ne esce nemmeno da eroe.
Una favola senza lieto fine
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