Perdere la possibilità di accedere al prepensionamento non perché non si ha diritto, ma perché è stato commesso un errore nel ricorso alla giustizia amministrativa. E’ così che si è materializzata la beffa per i cento operai ancora viventi dell’ex Isochimica, lo stabilimento di Pianodardine nell’avellinese dove per decenni a mani nude e spesso senza alcune protezione si sono smantellate le carrozze coibentate in amianto per conto delle Ferrovie dello Stato. In tanti sono già morti, in molti sopravvivono ma ammalati di tumore e senza molta speranza. Circa due anni fa, davanti al Tar del Lazio, i lavoratori superstiti ottennero lo sblocco dei benefici previdenziali che gli erano preclusi, con il riconoscimento della correlazione con le patologie professionali provocate dal contatto con l’amianto. Qualche ora, invece, la doccia fredda con la sentenza del Consiglio di Stato che ha ribaltato il verdetto del Tar ma- attenzione- non perché fossero errate le impostazioni di merito del ricorso, semmai perché in quel ricorso c’era un difetto di legittimazione passiva riguardo al ruolo del Ministero per lo sviluppo economico. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il decreto «è stato adottato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Ne discende che nessuna partecipazione al processo decisionale-discrezionale può essere attribuita al Ministero dello sviluppo economico, che doveva essere, per tal motivo, estromesso dal giudizio in primo grado». Inoltre, «il ricorso di primo grado è stato notificato al Ministero del lavoro e al Ministero dello sviluppo economico, ma non al Ministero dell’economia delle finanze». Ed è questo che ha determinato «l’inammissibilità del ricorso di primo grado, rilevabile d’ufficio anche in sede di appello».
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