Prima rintracciavano l'auto, poi la schedavano dettagliatamente, grazie alle informazioni recuperate attraverso un sofisticato lettore OBD 2, attraverso il quale riuscivano anche ad operare il furto, infine, la parcheggiavano in strada, per procedere successivamente con il “cavallo di ritorno” o, in alternativa, con attività di ricettazione e riciclaggio: era questo il modus operandi della banda smantellata attraverso il blitz dei Carabinieri del Comando Provinciale. A seguito dell'ordinanza applicativa di misure cautelari, emessa dal gip del tribunale di Nocera Inferiore Luigi Levita su richiesta del pm Angelo Rubano, sono scattati otto arresti tra la provincia di Salerno e quella di Napoli, cinque in carcere e tre ai domiciliari.
Il gruppo che si era soprannominato “Sfiammati”, da qui il nome dell'operazione, si scambiava informazioni prevalentemente nella chat comune di WhatsApp ed è proprio da queste conversazioni che gli inquirenti hanno trovato prove evidenti dei vari reati commessi. La svolta investigativa è arrivata da qui, evitando, di conseguenza, quelle che a volte si rivelano complesse attività intercettive e che non sempre vanno a buon fine. Su questo aspetto si è soffermato a lungo, nella conferenza stampa da remoto, il procuratore di Nocera Antonio Centore, che si è detto “ammirato” dal certosino lavoro effettuato dagli uomini del colonnello Trombetti, comandante provinciale dell'Arma. E' proprio spulciando le chat su WhatsApp che gli investigatori hanno ricostruito nel dettaglio i vari episodi riconducibili alla banda. La gang utilizzava un apparecchio elettronico, l'OBD appunto, particolarmente sofisticato ed elaborato, fornito da un vero e proprio maestro del settore, di origini pugliesi e che non è stato ancora rintracciato. E' stato lui a mettere a disposizione della banda tutte le apparecchiature elettroniche all'avanguardia per i furti. Attraverso questi strumenti le auto venivano rubate con destrezza e facilità, ma prima ancora venivano schedate dettagliatamente.
Tali informazioni, compreso l'identikit dei proprietari, venivano scambiate nelle conversazioni WhatsApp (al vaglio degli investigatori sono finiti a 64mila immagini, 36mila file audio e 1400 video). Dopo il furto, l'auto veniva parcheggiata tranquillamente in strada, perché secondo la banda “doveva riposare”, prima di stabilire gli step successivi, decisi attraverso le varie videochat che i componenti avevano ribattezzato “riunioni sindacali”. Le indagini, partite un anno fa, grazie al sequestro di una delle auto rubate da parte dei Carabinieri della Tenenza di Scafati, restano ancora aperte, per individuare e ricostruire ulteriori episodi ed ulteriori responsabili riconducibili all'attività della banda 2.0.