Quella di mister Brini è già diventata una doppia missione: la società gli chiede la conquista della salvezza, senza passare possibilmente per la lotteria infernale dei play out ed i tifosi gli chiedono di riaccendere, col gioco e soprattutto con i risultati, l’entusiasmo di una piazza delusa da una stagione a dir poco fallimentare. 10 vittorie, 7 pareggi e 17 sconfitte sono un ruolino di marcia disastroso. Brini aveva lasciato l’Arechi in festa. Nella sua mente ancora le immagini dei festeggiamenti dei 30 mila sugli spalti, dei cori e degli osanna. Oggi, al suo ingresso in campo troverà una situazione completamente diversa. Stadio muto, ampi spazi vuoti, pochi colori e poca voglia di incoraggiare una squadra che ha regalato soprattutto delusioni. Il tecnico, che ha spalle abbastanza resistenti sa bene che oggi non inizia una passeggiata di salute ma che ci sarà da lavorare, e tanto. Sul campo, nello spogliatoio e nei rapporti con l’esterno. Brini, che non ha l’anello al naso, ha capito anche che deve lottare anche contro il fantasma del suo predecessore, che a quanto pare continua ad avere un certo ascendente su parte del gruppo che più volte si è schierato a sua difesa. Ecco perché Brini ha più volte bacchettato i calciatori pungolandoli sull’orgoglio. Niente baci e abbracci o corse sfrenate verso la panchina: Brini vuol vedere il pallone rotolare in porta una volta in più degli avversari per raggiungere l’obiettivo. Oggi contro l’Albinoleffe si gioca per la maglia, non per eventuali vendette trasversali, non per stucchevoli dediche a chi non è più col gruppo. Si gioca per Salerno. I giocatori sono dei professionisti, lo dimostrino da qui alla fine del campionato. Del resto, se qualcuno davvero voleva che Castori restasse a tutti i costi sulla panchina granata, poteva anche dimostrarlo impegnandosi alla morte, piuttosto che dormire contro il Treviso. Certe cose si dicono sul campo, non a tavola durante le cene d’addio.
Brini ritrova un Arechi diverso
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