La reazione di Luca Gentile di fronte alle possibili provocazioni di Eugenio Tura De Marco mai avrebbero potuto giustificarne la reazione omicida. E nemmeno ad un assassino reo-confesso come Gentile si possono riconoscere attenuanti generiche, sulla base dei racconti fatti nel corso delle indagini ed in fase processuale.
E’ questo il nucleo delle motivazioni che hanno spinto la Corte d’Assise d’Appello di Salerno a confermare la condanna, pur riducendola a 16 anni e otto mesi di reclusione. In pratica, i giudici non hanno creduto alla versione del giovane che la sera del 19 febbraio 2016 uccise, nel rione Fornelle a Salerno, il padre della sua fidanzata. Non ha retto nemmeno il tentativo di Gentile di addossare parte delle responsabilità all’ex compagna, Daniela Tura de Marco, lasciando intendere che fosse stata lei a nascondere l’arma del delitto.
L’ultima deposizione, infatti, non è stata ritenuta attendibile rispetto alle altre quattro versioni rese da Gentile, che ammetteva di aver portato con sé il coltello fin dentro la casa della vittima e di essersene liberato dopo il delitto. Insomma, quel coltello non era già in cucina e non è stato afferrato d’impeto, in reazione ad un approccio sessuale, così come ha tentato di sostenere Gentile con i suoi legali difensori.
E se pure ci fosse stato un approccio, in sostanza, l’omicidio ovviamente non può considerarsi proporzionato rispetto all’azione. Mancherebbe, insomma, qualsiasi adeguatezza nella risposta, perché Tura avrebbe potuto essere allontanato dai due ragazzi. Oltretutto, Daniela nemmeno viveva con il padre, da tempo separato. Invece l’imputato ha pensato di regolare la vicenda andando a casa della vittima armato di un coltello.
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