Non è bastata, ad Antonio Fuoco, l’appassionata difesa del suo legale e nemmeno la lettera con cui chiedeva scusa a tutti, letta in apertura di udienza. Il giudice Paolo Valiante del Tribunale di Salerno è stato anche più severo del pubblico ministero, che per lui aveva chiesto un anno e quattro mesi di reclusione. Antonio Fuoco è stato condannato a 21 mesi di carcere, cinque in più della richiesta dell’accusa. Il suo caso è diventato esemplare e non solo per la vasta eco mediatica che ha avuto dopo la barbara uccisione a calci della cagnetta Chicca, il 15 febbraio di due anni fa.
Quasi certamente, lette le motivazioni, l’avvocato di Fuoco farà ricorso in appello. Ma la sentenza del rito abbreviato è destinata a fare scuola; perché è tra le prime in Italia a recepire il concetto di animali come esseri senzienti. Trovano piena applicazione, in questo dispositivo, il Trattato di Lisbona e le legge italiane nate di conseguenza. La difesa aveva tentato di argomentare richiamandosi alla cultura del perdono della comunità cattolica e tentando di confutare la tesi dell’animale come essere senziente. Ma la sentenza ha ribadito l’importanza di denunciare sempre tutti gli episodi di violenza nei confronti degli animali.
Malgrado la riduzione che spettava per aver scelto l’abbreviato, per Fuoco la pena è stata aumentata in quanto recidivo. Significativa anche l’entità del risarcimento danni che il giudice ha attribuito in favore di ciascuna parte civile (1000 euro) oltre alle spese legali.
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