E’ un collaudato sistema criminale quello portato alla luce dagli investigatori nell’ambito dell’inchiesta che ha travolto l’ex amministrazione comunale di Camerota. I fatti risalgono al periodo che va dal 2012 al 2017: in manette sono finiti l’ex sindaco Antonio Romano, l’ex vicesindaco Fernando Cammarano e l’ex amministratore Rosario Abbate, ai domiciliari invece un altro ex primo cittadino Antonio Troccoli, successivamente capostaff al comune, suo figlio Ciro, e Michele Del Duca ex vicesindaco. Dalla bufera giudiziaria sono state travolte diverse persone. Ieri sono state eseguite in tutto dodici misure cautelari, tra cui divieto di dimora, obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria ed interdizione per un anno. L’inchiesta non si ferma qui. L’operazione compiuta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Salerno e della Compagnia di Sapri con il supporto dei militari della stazione di Camerota ha portato a 19 perquisizioni. Altre 12 persone sono finite sul taccuino degli inquirenti. A tremare oltre ad ex amministratori anche vari professionisti della zona. Le indagini, coordinate dalla Procura di Vallo, sono state molto complesse, come ha spiegato ieri in conferenza stampa il capitano Calcagnile, comandante della Compagnia di Sapri.
Agli investigatori è apparso evidente come a monte del “sistema Camerota” si stagliasse una vera e propria struttura associativa, in grado di pilotare appalti e assunzioni, ma non solo. A capo della struttura organizzativa dell’associazione è stato individuato il preesistente apparato amministrativo del Comune di Camerota, che ha agito con un modus operandi sostanzialmente omogeneo e per un lungo periodo, esercitando le sue attività sotto le direttive dei due ex sindaci arrestati.
“Camerota, fino al dicembre 2016 – scrive la Polizia Giudiziaria che ha indagato – era un luogo ove il codice degli appalti non ha mai trovato applicazione”.
Attraverso il sistema creato ed il ricorso, puntuale, a terzi compiacenti è stata costruita una vera e propria “rete” in grado di controllare la quasi totalità delle gare di appalto, pilotandole verso società con a capo imprenditori collegati agli amministratori, da amicizia, vincoli di parentela o comuni interessi economici. In cambio, gli imprenditori fornivano agli amministratori somme di diverse migliaia di euro, assumevano personale indicatogli dagli amministratori stessi, eseguivano gratuitamente lavori edili privati, fornivano pass gratuiti per parcheggi e ormeggi gratuiti durante il periodo estivo. In particolare, sul fenomeno delle assunzioni pilotate, si è acclarato come il sodalizio speculasse sulle notevoli difficoltà di inserimento lavorativo in un territorio con elevatissimo indice di disoccupazione, ed infatti emerge nitidamente come gli indagati non “creassero” posti di lavoro per “tutti” ma soltanto per “alcuni” ed il criterio di selezione non fosse affatto meritocratico. Le assunzioni e i ruoli all’interno dell’associazione, infine, venivano continuamente controllati dai vertici che li distribuivano non per meriti o qualifiche, ma a seconda della quantità di voti che ciascuno di essi poteva garantire, mantenendo gli equilibri interni affinché non mutassero.
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