Inchiesta rifiuti: come il percorso della Procura si è intrecciato con Fanpage

Redazione

«Bisogna distinguere tra istigazione a delinquere e infiltrato che ascolta ciò che avviene». Lo dice Antonio Di Pietro, parlando le modalità dell’inchiesta di Fanpage sui rifiuti a Napoli. Di Pietro solleva uno dei tanti dubbi che, in queste ore, autorevoli giuristi e commentatori hanno espresso sul metodo adottato per la videoinchiesta che sta scuotendo la politica campana e nazionale, tra l’altro in piena campagna elettorale il che già sarebbe- per alcuni- un legittimo sospetto. Di Pietro- ex pm di Mani Pulite- dice: «se andiamo a provocare un reato e non a scoprire un reato finisce che non si capisce più chi è più delinquente dell’altro. Bisogna distinguere tra la scoperta di un reato e la provocazione di un reato. Perché a quel punto non sai più chi è che lo sta commettendo il reato». E’ uno degli aspetti controversi all’esame della Procura di Napoli, che sta vagliando con Squadra Mobile e Sco della Polizia novecento ore di registrazioni, decine di incontri e colloqui. Prima di interrogare i protagonisti e chi è già indagato, c’è l’esigenza di chiarire tutti i dettagli degli incontri registrati da Nunzio Perrella, alias signor Varotto, l’ormai celebre ex camorrista che si è finto imprenditore del settore rifiuti. Ma come nasce l’indagine della magistratura partenopea e come si intreccia con i video di Fanpage? Tutto inizia addirittura nel 2013, quando la Dda mette nel mirino una organizzazione intenzionata ad infiltrarsi negli appalti degli ospedali della zona collinare di Napoli. L’indagine della Procura si è intrecciata con l’inchiesta di Fanpage, che ha utilizzato l’ex camorrista Perrella, il boss che negli anni Novanta svelò gli interessi dei clan sulla gestione dei rifiuti e che oggi fingendosi imprenditore ha contattato politici e amministratori proponendo accordi illeciti. Ma è anche la stessa attività di Perrella nelle vesti di agente provocatore a sollevare perplessità che solo le indagini potranno chiarire.

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