La "cricca degli appalti" agiva senza scrupoli, attraverso un giro di corruzione e concussioni, con l'intento di riabilitare l'immagine del consorzio di imprese partenopee, dopo che alcune di queste erano state colpite da interdittive antimafia emesse dalla Prefettura di Napoli. E' da qui che partono le ramificazioni dell'inchiesta che ha portato ai domiciliari Roberto Penna, all'epoca dei fatti contestati sostituto procuratore a Salerno, la sua compagna, l'avvocatessa salernitana Maria Gabriella Gallevi, e gli imprenditori Francesco Vorro, Umberto Inverso e Fabrizio Lisi, quest'ultimo ex generale guardia di finanza. Dalla necessità di "ripulire" l'immagine del consorzio di imprese nasce l'intento di trasferirne la sede legale a Salerno, con la speranza di sfruttare le "amicizie" e non essere "intralciati" dalla Prefettura, riprendendo a lavorare senza intoppi.
Nell'ordinanza di custodia cautelare si sottolinea più volte che il magistrato otteneva incarichi professionali per la compagna per favorire le imprese del consorzio, rendendosi disponibile ad abusare del suo ruolo, fino ad indicare ad indicare alle stesse quale sarebbe stato il principale antagonista sul territorio, il gruppo Rainone. Nelle intercettazioni è proprio l'avvocatessa ad evidenziare gli ottimi rapporti con "le pubbliche amministrazioni e con la prefettura con cui lavora da trent'anni".
Penna, inoltre, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il promotore e l'ideatore delle indebite pressioni sui Rainone. Nelle prossime ore è previsto l'interrogatorio di garanzia del magistrato e di altri indagati e sarà possibile conoscere la linea difensiva di Penna, che già un anno fa si era detto estraneo ai fatti.