“La monaca fauza”: il teatro del ‘700 all’Arbostella

Redazione

“Le monache false erano un elemento della società napoletana. Le famiglie del volgo, e anche del ceto medio, solevano avere in casa una terziaria francescana”. Così Benedetto Croce commentava la commedia dell’autore settecentesco Pietro Trinchera, la cui produzione – 40 testi teatrali – era tutta improntata al realismo e prendeva spunti dai fatti di cronaca. Il successo del testo – l’unico dell’intera produzione di Trinchera ad essere rappresentato in teatro – lo si può spiegare partendo dal fatto che rappresentasse un duro atto d’accusa contro le false monache che mandavano in rovina le famiglie che le accoglievano. In soldoni ecco la trama: Sora Fesina, santocchia in veste monacale, che parla in italiano perché viene dalla Toscana, entra in casa di un nobile napoletano molto tirchio fingendo di essere una mistica che ha visioni e riesce a parlare con il Paradiso, intercedendo con i Santi per far avere grazie ed esaudire desideri di persone facilmente adescabili e credulone, mentre il suo interesse effettivo è quello di fare da sensale e paraninfa per mogli annoiate sensibili al corteggiamento di damerini da strapazzo e per amanti di fanciulle caste. Gli appassionati del genere, della lingua napoletana arcaica e del testo (che venne anche riletto da Eduardo de Filippo) potranno godersi la messinscena allestita al Teatro Arbostella dove nel ruolo della monaca falsa c’è Valentina Di Folco, affiancata dal padre Tonino nel ruolo del nobile tirchio. A completare il cast Lucia Aceto, Salvatore Paolella, Antonietta Pappalardo, Stefania Spatuzzi, Enzo Cavaliere, Giovanni Bonelli, Anna Feliciello e Franco Montanaro.

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