La testimonianza di Shlomo Venezia commuove Salerno

Redazione

182727. Era questa la matricola che Shlomo Venezia aveva tatuato sul braccio. Gliela impressero ad Auschwitz-Birkenau quando lo scelsero per far parte del SonderKommando, la squadra speciale composta da internati del campo e destinata alle operazioni di smaltimento e cremazione dei corpi dei deportati uccisi mediante gas. Tali squadre venivano periodicamente uccise per mantenere il segreto sulle modalità che il regime nazista aveva scelto per lo sterminio del popolo ebraico. Venezia è uno dei pochi sopravvissuti – l’unico in Italia, una dozzina nel mondo – di queste speciali squadre e ha raccolto le sue memorie in un libro pubblicato nell’ottobre 2007 da Rizzoli, perché, citando Broskij, Se c’è qualcosa che può sostituire l’amore è la memoria. Ieri Shlomo e la sua dolorosissima autobiografia sono state al centro di un’iniziativa di grande spessore storico e culturale in memoria della terribile “Notte dei cristalli” voluta dal Rotary Club Salerno. A 71 anni da quel 9 novembre 1938, che segnò la definitiva messa al bando degli ebrei da parte di Hitler, Venezia ha raccontato – in mattinata agli alunni delle ultime classi delle scuole superiori ed in serata ai soci Rotary – la soluzione finale nazista, lui che – a differenza degli altri sopravvissuti – l’ha vista messa in pratica. Ha 86 anni oggi Shlomo Venezia ma la sua memoria non lo tradisce neanche nei dettagli. Ricorda ogni particolare della sua deportazione e del compito che gli venne affidato in qualità di Sonderkommando: “Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto. E’ come se il lavoro che ho dovuto fare laggiù – spiega – non sia mai uscito dalla mia testa”. Non è un caso che a lungo, dopo essere uscito dal campo, Shlomo abbia taciuto vittima di quella ”malattia”, già raccontata da Primo Levi: una sorta di complesso di colpa per essere sopravvissuti. Shlomo ha rotto il silenzio nel 1992 quando ha visto sui muri sempre più croci uncinate. Walter Veltroni, che firma la prefazione del libro, dice di avere di lui un’immagine precisa: quella di un uomo “che racconta con fermezza, con precisione, l’inferno che ha visto e toccato”.

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