Massimo D'Onofrio fu ucciso da una gragnuola di colpi esplosi da Eugenio Siniscalchi in rapida successione, dopo aver premeditato a lungo il delitto per punire lo sgarro su un debito non saldato.
Anche la Corte d'Assise d'Appello è convinta che le cose siano andate in questo modo, quattro anni fa, quando D'Onofrio fu raggiunto da Siniscalchi e dal fratello – all'epoca minorenne – nella zona di Viale Kennedy a Pastena. Doveva essere un chiarimento, almeno così riferirono i Siniscalchi a D'Onofrio per tendergli la trappola. L'ultima chiamata sul cellulare i killer l'anno fatta appena pochi minuti prima dell'agguato, per assicurarsi che la vittima fosse davvero sul luogo dell'appuntamento.
Un omicidio premeditato e quindi la Corte non poteva che confermare, anche in appello, la condanna a 30 anni di reclusione già emessa nella sentenza di primo grado dal gup del Tribunale di Salerno. Siniscalchi agì insieme al fratello per punire D'Onofrio, che spacciava nella zona di Pastena, riguardo ad un debito in denaro che questi stentava a saldare. Subito dopo gli spari, i Siniscalchi dormirono a Giffoni, poi ripararono nella zona di San Mango di cui sono originari.
A loro gli inquirenti sono arrivati intrecciando le intercettazioni telefoniche ma anche facendo quadrare orari, tempi e circostanze delle varie fasi del delitto con le immagini di alcuni sistemi di videosorveglianza, che hanno documentato i movimenti dei sicari prima e dopo l'omicidio.