“Salerno e la Costiera Amalfitana sono la mia Musa ispiratrice. Di più: rappresentano per me quello che erano l’Oceania e la Paupasia per Gauguin”.
Così amava raccontare le origini della sua arte Mario Carotenuto, il pittore salernitano spentosi oggi a 95 anni. Un mese fa aveva presenziato all’inaugurazione della sua ultima personale, Autoritratto degli anni Settanta, curata da Massimo Bignardi ed allestita nella sala san Tommaso del Duomo. Nato a Tramonti, il 4 settembre del 1922, Carotenuto trascorse la sua fanciullezza ad Angri, dove sua madre, Rosa, era insegnante elementare. Il padre Amedeo, invece, era musicista e suonava il pianoforte alle proiezioni cinematografiche. L’arte, nelle sua varie sfaccettature era una costante familiare – oltre al padre, anche il nonno, uno zio ed un fratello erano musicisti – e così malgrado una forte predisposizione per il latino (aveva vinto un premio al ginnasio) prese il diploma di maturità al Liceo Artistico come privatista e poi si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Lì ebbe la fortuna di avere come maestri due grandi artisti del Novecento italiano. Il futurista Emilio Notte, pittore colto e cosmopolita, che gli insegnò il disegno classico tout court. Invece Vincenzo Ciardo, grande paesaggista sul solco della scuola di Posillipo, e poi esponente di rilievo del post-impressionismo, lo iniziò all’uso della tavolozza e della pittura ad olio. Cominciò ad insegnare – per necessità – senza aver completato l’Accademia in tutta la provincia: nel primo dopoguerra in Cilento, poi a Padula, e poi a Laurino… fino a Salerno dove diverse generazioni lo hanno avuto come professore d’arte alla media Pirro. Intanto continuava ad affinare la sua tecnica. La sua prima mostra, ebbe luogo a Salerno, nel 1953, nella saletta del Turismo a Castel Terracena, in via dei Mercanti. Fu l’inizio di un percorso di successo di pubblico e critica che vide i suoi quadri approdare, tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta in alcune delle più importanti gallerie di Roma e di Milano, dalla Borgognona alla Galleria Levi. In quegli anni, dunque, vendette moltissimo e alcuni tra i principali critici italiani, come Alberico Sala, Munari e Dino Buzzati scrissero della sua pittura. Sempre a quel periodo risale la frequentazione di artisti come Guttuso, Mafai, Vespignani, Attardi… Collaborò con il ceramista/decoratore Teodoro Cossa. Lavorò per la Ernestine di Matteo D’Agostino ed Ernestine Cannon, conobbe il grande Gambone. Poi negli anni Settanta e Ottanta lavorò a Vietri, con Romolo Apicella. Pittore figurativo, realista, un po’ nostalgico, non catalogabile in nessuna scuola: lo stile di Carotenuto si è evoluto nell’arco di 75 anni… nato come pittore intimista (ritratti e piccole nature morte, l’unica opera che non avrebbe mai venduto, diceva, era il ritratto della madre, datato 1941, quando avevo appena 19 anni) fece un’incursione nel collage a metà degli anni ’60 sulla scorta della pop art americana. Sul finire di quello stesso decennio, la sua pittura è diventata quasi surrealista. In seguito ha fuso tutte queste esperienze. E se non c’è casa salernitana che non abbia un Carotenuto alle pareti, l’opera con cui il maestro è entrato nell’immaginario popolare della città è il Presepe dipinto della Sala San Lazzaro. L’idea nacque per caso, per merito di un suo ex alunno, il compianto Peppe Natella, che nella seconda metà degli anni Ottanta gli chiese di disegnare un bozzetto per un presepe. Fu subito uno straordinario successo, che negli anni si è arricchito fino agli attuali 130 pezzi, tutti sagomati e dipinti a grandezza naturale, che raccoglie e celebra decine e decine di volti della Salerno più popolare. Quella stessa città che oggi lo saluta commossa. Qui l’ultima intervista al maestro: 21/09/2017 https://www.youtube.com/watch?v=-f5xzK1ttcU