San Nicola Varco, il giorno dopo

Redazione

Era stato definito un vero e proprio ghetto, quello di San Nicola Varco. Un luogo non luogo che da quasi 15 anni ospitava in media 800 immigrati nord africani: clandestini, lavoratori in nero, richiedenti asilo e fra di loro, come in ogni società che si rispetti, anche qualche mela marcia. Una enclave maghrebina e clandestina nel cuore della Piana del Sele. Ieri mattina in quella cittadella sgarrupata – nata sulle rovine del mercato ortofrutticolo, costruito dalla Regione con i miliardi dello Stato a metà anni ’80, e mai avviato – sono entrati più di 200 uomini delle forze dell’ordine, divisi tra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza che – in esecuzione dell’ordinanza della magistratura salernitana – hanno controllato l’intera area, circa 14 ettari di terreno, procedendo allo sgombero ed al sequestro per motivi di igiene e sanità pubblica. A sorpresa, però, il ghetto era semi deserto. Nonostante il blocco di strade e viuzze da parte di pattuglie specializzate molti immigrati si sono dati alla fuga prima, alcuni (una cinquantina) sono stati accolti dal vicino Comune di Sicignano degli Alburni dove il sindaco Alfonso Amato ha messo a loro disposizione il palazzo Belvedere; malgrado l’opposizione dei suoi concittadini. Alla fine il bilancio ufficiale dell’operazione parla di 150 stranieri bloccati, 36 di questi sono stati accompagnati negli uffici delle forze dell’ordine perché non in regola con il permesso di soggiorno. Di questi 7 arrestati, 23 denunciati in stato di libertà ed avviati ai centri dell’immigrazione E di Bari Palese e Crotone, 1 è stato allontanato dal territorio nazionale… Il bilancio non ufficiale invece ci restituisce l’immagine di immigrati regolari e clandestini accomunati da un’unica sorte: essere sfruttati per 22 euro al giorno, dopo 14 ore di lavoro quotidiane. D’estate, a raccogliere fragole e pesche. Oggi, piegati su finocchi e carciofi. E il resto dell’anno nelle serre. Franco Roberti, il procuratore capo di Salerno, al termine dell’operazione ha sottolineato che «Lo Stato si è riappropriato di un’enclave extraterritoriale, ma ora le istituzioni devono mantenerne il controllo». Un controllo che finora, negli ultimi tre lustri né la politica locale, né la Regione, sono riuscite a garantire.

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