Anche il Comune dovrà risarcire i parenti dei 137 morti

Sarno: disastro ambientale e disastro finanziario

Così l'ultima sentenza della Corte di Cassazione sugli eventi del 5 maggio 1998
Francesca Salemme

Non usa toni pacati Giuseppe Canfora, sindaco di Sarno, dinanzi alla sentenza della Corte di Cassazione sugli eventi del 5 maggio 1998 ed i risarcimenti ai familiari delle vittime: anche il Comune dovrà risarcire i parenti dei 137 morti e l’ente rischia, così, di dover dichiarare il dissesto finanziario.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Avvocatura dello Stato e stabilito che il Comune, alla luce delle azioni del sindaco dell’epoca, Dino Basile, che fu condannato per il disastro di 25 anni fa, è responsabile diretto per «immedesimazione organica con l’amministratore».

«I sarnesi dovranno pagare per i loro morti. – sottolinea Canfora – Una mortificazione umana, una condanna ingiusta che ci uccide. Ricorreremo alla magistratura europea».

Il caso Sarno è il primo in cui le conseguenze di un disastro ambientale siano state attribuite alle istituzioni, e proprio dinanzi al rischio del tracollo per gli enti, il legislatore, su sollecitazione della stessa amministrazione comunale sarnese e della Protezione Civile Nazionale intervenne sei anni fa stabilendo il «Fondo per contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria e prevenire situazioni di dissesto finanziario dei comuni» ma con la sentenza della Suprema Corte, si rimette tutto in discussione.

La legge pone in capo agli enti locali e agli amministratori responsabilità a dir poco sproporzionate. Oggi più che mai occorre ridefinire il perimetro delle competenze e delle responsabilità“. ha osservato il sindaco di Baronissi, Gianfranco Valiante, coordinatore Anci della provincia di Salerno. “Esprimo solidarietà mia personale e di Anci Salerno – ha detto Valiante – all’amministrazione comunale di Sarno. Gli amministratori locali, spesso lasciati soli, senza mezzi e senza risorse, non chiedono impunità, ma solo di poter svolgere serenamente il proprio lavoro“.

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