20, 9, 20, 169.
Venti come gli anni passati dal 4 febbraio 2003, quando, in seguito ad una mareggiata di straordinaria violenza e potenza, un cargo battente bandiera di Saint Vincent e Grenadine, la Yasmina, arrivò a Salerno arenandosi nei pressi dell’ex ostello della gioventù, sul lungomare Tafuri, cambiando il panorama urbano per molti mesi.
L’operazione di disincaglio, infatti, riuscì soltanto il 24 luglio.
La nave, di proprietà di Quay Success Ltd, stava aspettando in rada per entrare nel porto di Salerno ma fece i conti con le avverse condizioni meteo.
Nove, era la forza del mare in tempesta, che trascinò la nave a riva fermandola a poche decine di metri dalla spiaggia di Torrione: nonostante il carico – di 34 tonnellate di nafta, 160 tonnellate di nafta solida e 17mila litri di olio combustibile – ed il rischio latente di un disastro ambientale, quell’ospite inatteso diventò il “centro” di Salerno, “virale” prima dei social network: sfondo di foto, scenografia di dichiarazioni d’amore, meta di turisti e pellegrinaggio di curiosi, ispirazione d’arte (la galleria il Catalogo chiese ad un gruppo di pittori di declinare a loro modo quel naufragio).
Col trascorrere dei mesi, però la curiosità scemò mentre andarono a vuoto i primi tentativi di disincaglio (da Napoli arrivarono due rimorchiatori, ma il mercantile non si smosse).
Intanto a bordo erano “prigionieri” i 20 membri dell’equipaggio, in ostaggio della burocrazia e dell’armatore, come i protagonisti del bel libro di Jean Claude Izzo, “Marinai perduti”.
Venne l’estate e in tanti si fecero il bagno affianco a quella “balena di ferro spiaggiata”, senza pensare alle possibili contaminazioni.
Poi, 169 giorni dopo il suo arenamento, grazie ad un rimorchiatore olandese e una draga per rimuovere la sabbia depositatasi ai lati dello scafo, il 24 luglio, al termine dell’ennesimo tentativo, Yasmina si mosse, venne portata via e sequestrata.
Rimase al porto commerciale fino al 15 settembre e poi lasciò Salerno per sempre.