“Sono un maestro elementare, sono diventato un agitatore sindacale, finisco intellettuale… un po’ me ne vergogno”. Esordisce così – ribadendo la polemica infuocata con gli intellettuali italiani «ignoranti come bestie, dicono io stufi di dire noi» – davanti alla platea raccolta nella sala della Pinacoteca provinciale Goffredo Fofi, critico cinematografico, saggista, sceneggiatore (appena celebrato a Cannes con la proiezione della copia restaurata di “Sbatti il mostro in prima pagina” di Bellocchio).
In dialogo con il giornalista Enzo Ragone e Vittorio Dini già direttore del Dipartimento di Sociologia e Scienza della politica del Campus di Fisciano, suo amico fin dai tempi della Mensa dei bambini proletari di Napoli, Fofi è stato invitato dalla Fondazione Gatto per parlare di una generazione – la sua – che considerava la cultura, l’impegno civile e la militanza valori fondanti della società italiana.
Una stagione di grandi speranze, che Fofi data dal 25 luglio 1943 alla morte di Moro e che, nella sua controstoria, è abitata da quanti si sono occupati di progetti educativi e di sviluppo della comunità, dal suo maestro Danilo Dolci, per seguire il quale Fofi lascia Gubbio nel 1955 per andare in Sicilia, e affiancarlo nelle battaglie a fianco dei disoccupati e nella lotta alla mafia. vincitore di una borsa di studio di Adriano Olivetti come assistente sociale arriva ai sassi di Matera, e poi alla Torino del boom e dei Quaderni rossi di Raniero Panzieri.
Vistosi bocciato un progetto di inchiesta sulla classe operaia meridionale alla Fiat migra a Parigi dell’École pratique des hautes études dove conosce Foucault, Lacan, Lévi-Strauss e scopre il cinema, sua grande passione, dal Sessantotto fino all’intervento sociale degli anni Novanta, il ribelle Goffredo Fofi ha, negli ultimi 70 anni, parlato sempre di temi fondamentali come il sociale, la politica, la pedagogia.