Nel 2017 c'era l'Italia del rancore; il 2018 era l'anno di un'Italia che si confrontava col sovranismo; il 2019 l'anno di un'Italia incerta, vittima della sfiducia. E questo 2020? Per il Censis nessun dubbio: è l'anno della paura nera, l'anno in cui il Covid ha innescato una paura più generale, quella per e del futuro, costringendo gli italiani in un tunnel da cui ancora non si riesce a vedere la luce, a dispetto delle rassicurazioni che piovono ogni giorno.
Tant'è che – a guardare nel dettaglio di queste ultime settimane – il 79,8% degli italiani chiede di non allentare le restrizioni o di inasprirle per le feste. Il 54,6% spenderà di meno per i regali, il 59,6% taglierà le spese per il cenone del 31. Per il 61,6% la festa di Capodanno sarà rassegnata.
“Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto” evidenzia il 54mo Rapporto Censis. “Il virus ha colpito una società già stanca“, si rileva, per questo “siamo stati incapaci di visione” e “il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci“.
Di qui l'esigenza di “un ripensamento strutturale per la ricostruzione, per i prossimi dieci anni, per le nuove generazioni”, per non rinchiudere la nostra società in una cultura del sussidio e del respiro breve.
"Non andrà tutto bene: il 44,8% degli italiani è convinto che usciremo peggiori dalla pandemia (solo il 20,5% crede che questa esperienza ci renderà migliori)“.
Al Paese, dunque, non bastano più parole rassicuranti ma povere di significato, parole utili a enfatizzare un impegno generico di programmazione ma difficilmente capaci di trasformarsi in un'azione di ricostruzione. La resilienza, la mobilità sostenibile, la digitalizzazione dell'azione amministrativa, la rete unica ultraveloce, l'economia verde, l'investimento sui giovani sono concetti nobili ma al momento volatili: per rimettere in cammino l'economia e rimettere insieme la società occorrono interventi concreti e in profondità.
Il Censis indica una selezione degli ambiti d'intervento: un nuovo schema fiscale, il ridisegno del sistema industriale, un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali, con un dibattito sul Mezzogiorno – e qui il Censis mette in guardia – che precipitosamente affonda. Senza però trascurare che una nuova questione settentrionale si impone.
La pandemia Covid ha inoltre evidenziato che è il terzo settore attore e progettista dell'intervento sociale, ammortizzatore dell'inefficienza pubblica e privata, destinatario d'impegni pubblici ma anche indifferente alla selezione competitiva, custode di una cultura di responsabilità sociale i cui confini sono incerti.
C'e' poi quella che sembrerebbe una contraddizione: il non esserci adattati in modo ottimale alle grandi trasformazioni dei processi globali “rivela una flessibilità, una gamma di potenzialità che possono rivelarsi una grande forza per seguire traiettorie di sviluppo fino a ieri inattese“.
Il Censis ci dice che nel timore e con cautela, il Paese “aspetta e sa di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ripensare e ricostruire a freddo i sistemi portanti dello sviluppo, che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo“.
È un'Italia che “attende di sentire di nuovo, quando dopo le lacrime altro non si avrà da offrire che fatica e sudore, il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando diritti“.