La notizia della chiusura definitiva del Vicolo della Neve (aveva chiuso i battenti con il lockdown), ufficializzata da alcuni giorni, anima il dibattito dei salernitani.
La decisione era già maturata da tempo, nei giorni della pandemia, ma adesso anche coloro i quali hanno sperato in un ripensamento, dovranno abituarsi a rinunciare, definitivamente ai piatti della tradizione: dal baccalà con le patate alla pasta e fagioli ripassata nel forno a legna, dalle polpette al sugo al calzone con la scarola, dalla cotica al peperone imbottito, anzi ‘mbuttunat e tutto il repertorio della cucina povera che dall'Ottocento in poi ha sfamato tutte le classi sociali con la sua golosità e i suoi eccessi di grasso. Per lungo tempo -almeno fino agli anni Ottanta – è stato uno dei pochi indirizzi culinari della città.
Uno dei pochissimi aperti fino a tardi, per una cena dopo teatro. Questo ha contribuito a crearne la fama, o se si vuole il mito, che – ricordiamolo – nasce quando l'avventore non va in cerca di un posto dove mangiare, va in quel posto per l'atmosfera, l'ambiente, per quello che oggi si chiama "mood". Al "Vicolo della neve", negli anni d'oro, si potevano incontrare artisti, scrittori, giornalisti.
Habitués erano Giorgio Amendola, Clemente Tafuri – che ne dipinse le pareti – e Alfonso Gatto, che al vicolo ha dedicato una delle sue poesie più belle, che era esposta all'interno del locale:
… Il vicolo aveva la neve
del dolce nome granito,
un uomo triste che beve
il suo vino appassito… *
(* il testo completo, in basso)
Otto anni fa, quando già erano tante le alternative a quell'indirizzo gastronomico, Green Pino e la Fondazione Gatto fissarono un enorme traforato, all'entrata del vicolo, che richiama direttamente il poeta, mentre i versi dello stesso e di molti autori giovani vennero fissati lungo le pareti, come se la strada, omaggio tardivo, avesse cambiato nome e fosse diventata vicolo Gatto. I frequentatori del ristorante coltivavano così insieme la gola e la conoscenza della poesia.
Dispiace oggi che chiuda, ma alle leggi del mercato non si possono opporre i soli ricordi, né i soli desideri.
* Il vicolo della neve
E' nella notte d'inverno
il pallido azzurro fornaio
disegnato di vene,
la luna a mezzo febbraio,
quel parlare di cene.
Il vicolo aveva la neve
del dolce nome granito,
un uomo triste che beve
il suo vino appassito
Il vicolo aveva il balcone
della puttana smargiassa
e quell'odore di nassa
di polpo bollito e limone.
Il vicolo aveva l'inverno
il canto della canaria
i numeri rossi del terno
l'ultimo palpito d'aria
di fresca cantina, d'arancio
che torna – oh se torna! – nel grano
fiorito della pastiera.
Il vicolo aveva nel gancio
l'insegna contrabbandiera
del c'era una volta il lontano
racconto del tempo che fu.
Straniero, se passi a Salerno
in una notte d'inverno
di luna a mezzo febbraio,
se vedi il bianco fornaio
che batte le mani sul tondo
di quella faccia cresciuta,
ascolta venire dal fondo
degli anni la voce perduta.
L'odore di menta t'invita,
la tavola bianca, la stanza
confusa dall'abbondanza.
In quell'odore di forno
per qualche sera la vita
si scalda con le sue mani
e quegli accordi lontani
del tempo che fu.