Non viaggiano su automobili costose, non piacciono alle veline e non sono tatuati. Soprattutto, non ambiscono a ingaggi a 9 zeri, a loro basta un tre lungo. E se bussano a denari, lo fanno solo per leggere le carte del compagno. Sono giocatori come gli altri e non fanno certo come Ribery: loro, il mazzo di napoletane non lo appenderanno mai al chiodo, perché la partita a lungomare di Salerno, più che storia è leggenda. Una tradizione che risale al secolo scorso, quando c’era il mare, certo, ma non ancora il lungomare. La polemica che si è scatenata sullo sfratto – vero o presunto – da parte della Polizia Municipale non aveva, non ha e non avrà ragione di esistere: mandar via i giocatori di carte da lì, sarebbe come sradicare il castello di Arechi dalla cima del colle Bonadies, sarebbe come mandar giù il Duomo a picconate. I giocatori di carte fanno parte dell’arredo urbano cittadino, talmente radicati da superare indenni tutti gli interventi di ammodernamento dei Piani Urbanistici Comunali che si sono succeduti nel tempo. Sparite le baracche, svanito nel nulla il cinema Diana, dissolto il trenino per i bimbi, loro son rimasti lì. Dai bisnonni ai figli, ma arriveranno altri giocatori, le nuove leve rappresentate dai nipoti. Loro son rimasti lì, a giocare. Perché le tradizioni non vanno tradite e perché non c’è nulla di più serio del gioco.
Giocatori di carte a lungomare: un pezzo di storia
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