Nemmeno la metà dei giovani tra i 20 e i 30 anni ha votato alle europee

Giovani e politica, due mondi distanti anni luce

Disinteresse che causa una distanza incolmabile e la classe politica non fa nulla
Ivano Montano

La facoltà di votare, di esprimere la propria preferenza, insomma di poter cambiare qualcosa, di immaginare un futuro è una straordinaria arma di democrazia che viene lasciata da tanti nel cassetto sottoforma di scheda elettorale da pochi anni ricevuta e già sbiadita. Troppi di quei “tanti” sono giovani, parliamo della fascia che va dai 20 ai 30 anni. Alle ultime europee, nemmeno la metà di questi s’è recata alle urne. Da una mini-indagine tra ragazzi da noi effettuata, vengono fuori queste risposte: “la politica non mi interessa”, “non mi fido dei politici”, “ho intenzione di andare altrove, all’estero, per cui non vedo il motivo per cui dovrei votare”. Per la cronaca, qualcuno ha addirittura risposto che non era a conoscenza del fatto che si votasse per il rinnovo del Parlamento Europeo. Quella degli anni a venire è una generazione che naviga a vista, che si informa poco e se lo fa è poco propensa ad approfondire; sembra passato un secolo da quando l’attivismo politico abitava proprio tra i giovani, parliamo degli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70, allorquando i fermenti erano dappertutto e talvolta risultavano anche fin troppo focosi. I giovani rinunciano a cercare di migliorare le cose per il futuro, che è soprattutto loro. Diamo la colpa ai giovani? Troppo comodo. Diciamo che la verità sta sempre nel mezzo: i ragazzi non si avvicinano alla politica così come la classe politica non fa nulla per catturarne l’attenzione. Il cosiddetto “laboratorio politico” non esiste più e il nuovo stavolta non avanza e manco indietreggia. Resta lì, immobile, in attesa che altri decidano per tutti.

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